Michela Piccione è Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica. Nel 2017 denunciò call center per lavoro nero e non pagato

“Quando ho ricevuto la telefonata non volevo crederci, ma poi ho controllato sul sito ed era vero tutto”. Michela Piccione, 35 anni, lavoratrice, originaria di Sava. Nel 2017 denuncia con la Slc Cgil di Taranto l’assurda storia di sfruttamento in un call center. Un mese di lavoro: 92 euro. “Questo riconoscimento mi fa sentire importante e non credevo di essere riuscita a toccare il cuore del Presidente della Repubblica. Da quando è accaduto il fatto, nel 2017, non mi sono mai fermata: ho continuato a scrivere ai ministri e anche a Mattarella. L’unica che mi ha risposto, finora, è stata la consigliera alle Pari Opportunità della Regione Puglia, che doveva darmi un appuntamento e non l’ha mai fatto”. Nessuna risposta dai Ministri, ma il riconoscimento ufficiale come Cavaliere del Lavoro. “Il mio obiettivo è quello di far introdurre una legge contro il caporalato nel mondo del call center. E questo obiettivo si può raggiungere se si denunciano le condizioni di sfruttamento. Spero di dare coraggio a tutte coloro sono nelle stesse condizioni. Quando l’abbiamo fatto noi, con le altre quattro compagne, eravamo arrivate a sentirci umiliate”.

Michela Piccione ha incontrato lungo la sua strada il segretario della Slc Cgil di Taranto Andrea Lumino: “Lui è stata la mia spalla e mi ha dato la forza necessaria. Lo ammiro tantissimo. Non mi ha mai fatto sentire sola. Insieme siamo riusciti a farci ottenere una paga decente”. Il segretario commenta così: “l passaggio da operatrice telefonica “invisibile”,sottopagata e costretta a fare la colletta per acquisto carta igienica per andare in bagno, a “Cavaliere della Repubblica” non è una favola ma un episodio di vita reale,voluto e cercato. Da anni conduciamo questa battaglia, contro committenti che speculano, istituzioni dormienti che latitano, senso di frustrazione per la fame di lavoro e di ricerca del minimo guadagno. Questa volta la “favola” l’abbiamo scritta noi, credendo in quello che facciamo, nei nostri valori, nel coraggio di chi ha denunciato, nel nostro essere organizzazione sindacale, ovvero un corpo intermedio che un giorno sì e l’altro pure viene tartassato da demagogia e populismo. Ed oggi siamo orgogliosi come SLC CGIL di aver scritto questo pezzetto”.

Anche la segreteria territoriale della Cgil di Taranto esprime il proprio apprezzamento, attraverso le parole del segretario generale Paolo Peluso: “Accogliamo con estrema soddisfazione il riconoscimento a Michela Piccione, perché la sua storia è la dimostrazione che è possibile rompere le catene del ricatto occupazionale e non rinunciare alla propria dignità, come persona e come lavoratrice. La storia di Michela Piccione è anche il riconoscimento di come la fiducia negli altri, in questo caso nel sindacato Slc Cgil, possa fornire la giusta forza perché si possa ristabilire la giustizia. La sua azione è di grande stimolo alla Cgil affinché si possa ridare alla dimensione collettiva della tutela del lavoro e nel lavoro il significato che spesso, a causa del ricatto occupazionale, viene compromessa da paure e probabilmente sfiducia nelle istituzioni. Quella sfiducia che, con il riconoscimento onorifico di Cavaliere del lavoro a Michela, il Presidente Mattarella ha inteso dissipare nel richiamo alto all’art. 1 della nostra Costituzione”.

Il comunicati stampa della Slc Cgil che all’epoca raccontavano i fatti

«Non c’è limite alla diabolica fantasia di chi vuole sfruttare i lavoratori, guadagnando facendo leva sul bisogno disperato di donne e uomini ormai costretti ad accettare qualunque cosa sperando di sopravvivere alla crisi che non pare affatto superata». È l’amara considerazione di Andrea Lumino, segretario generale della Slc Cgil Taranto dopo l’ultima denuncia nei confronti di un call center che ha aperto una nuova frontiera sullo sfruttamento: il lavoro a nero e non pagato.

«Ormai – ha spiegato Lumino – non ci meravigliamo più di nulla e eppure l’idea di trovare un call center che opera grazie a lavoratori in nero che a fine mese non vengono nemmeno pagati è davvero troppo. È accaduto fino a pochi giorni in un call center di Taranto che i carabinieri del Nil e l’Ispettorato del Lavoro hanno chiuso tempestivamente il giorno successivo alla nostra denuncia: una situazione di piena illegalità che grazie all’intervento degli organi preposti è stata prontamente interrotta, ma che conferma ancora una volta come il concetto di lavoro sia stato sostituto da un surrogato dello sfruttamento mascherato da favore che padroni concedono a chi ha bisogno».

Da quanto accertato da Slc Cgil e poi denunciato ai carabinieri e all’ispettorato del lavoro, gli operatori del call center non avevano alcun contratto, ma un semplice accordo verbale con il padrone che riconosceva da 1 a 5 contratti al mese, uno «stipendio» di 40 euro lordi, oltre i 6 contratti mensili veniva corrisposto uno stipendio di 500 euro lordi, dal 7 contratto in poi oltre ai 500 euro veniva corrisposto un «bonus» di 20 euro lordi per ogni contratto.

«Quindi – ha spiegato Lumino – per coloro che non riuscivano a chiudere alcun contratto non c’era alcuna retribuzione. Un mese di lavoro donato al padrone. Un padrone che gestiva un call center senza offrire nessuna garanzia e tutela in materia di salute e sicurezza o di sorveglianza medico sanitaria nonostante operasse non per una qualunque azienda privata, ma per conto di Tim. Insomma – ha commentato il sindacalista tarantino – il call center aveva una partita Iva e la monocommittenza con il più grande cliente di telecomunicazioni italiano che in questi giorni si dipinge come l’azienda buona che sta per procedere all’assunzione di 2000 persone. A Tim, sin d’ora, diciamo di non risponderci prendendo le distanze come in passato: abbiamo acquisito i documenti dei contratti fatti ai clienti per loro conto e quindi la risposta “non sapevamo” questa volta non basta. Vorremmo chiedere a Tim se questa modalità imprenditoriale può essere accettata in un Paese civile: come Slc Cgil Taranto diciamo di no e annunciamo che oggi, in maniera ancora più convinta e determinata, continueremo a chiedere l’applicazione della legge per il caporalato per lo sfruttamento dei lavoratori in questo settore. Continueremo a batterci per la dignità di questo settore e dei suoi lavoratori oltre a quella di un territorio che non può subire tutto questo in nome della crisi e del ricatto. Proseguiremo la nostra battaglia “a mani nude” settore e nella prossima campagna elettorale ci aspettiamo di conoscere le proposte dei candidati e dei partiti per risolvere queste nuove frontiere di sfruttamento del lavoro e del bisogno di tanti».

— — —

«Il silenzio è la prova evidente che qualcuno vuole nascondere la polvere sotto il tappeto». È il commento di Andrea Lumino alla mancata risposta da parte di Tim e di altre aziende alla proposta del sindacato di offrire un aiuto concreto alle donne che nelle scorse settimane si sono rivolte al sindacato per denunciare lo sfruttamento patito in alcuni call center che operavano per conto proprio di Tim.

«Abbiamo pubblicamente invitato TIM a darci un segnale – ha spiegato Lumino – per aprire quantomeno un dialogo e provare a costruire insieme una prospettiva che offrisse serenità a quelle donne che hanno avuto il coraggio e la dignità di difendere il loro diritti e quelli di un intero territorio dagli abusi di chi si stava arricchendo sulla loro pelle. La risposta di TIM, però, è stata il silenzio. Nessuna risosta. Nessuna proposta. Forse non poteva essere diversamente dato che l’azienda da un lato dichiara di voler assumere 2000 giovani e dall’altro ignora che per suo conto vengono schiavizzati e sottopagati tanti giovani».

Il duro affondo di Lumino è continuato poi con la richiesta a Tim di «smetterla di dire che non sapeva o è stata tirata in mezzo inconsapevolmente: abbiamo acquisito le proposte delle provvigioni firmate su carta intestata TIM e persino le copie dei contratti che il corriere portava a casa dei clienti per far sottoscrivere gli abbonamenti. Come può TIM dire di non sapere quando una parte di quei contratti si traduceva in abbonamenti per nuovi clienti e quindi nuove entrate finanziare?

Ci aspettavamo da parte dell’azienda una risposta seria che permettesse l’apertura del dialogo.

Come Slc Cgil – ha ribadito il sindacalista tarantino – non abbasseremo la testa e chiediamo alle istituzioni politiche di prendere una posizione chiara in merito, di chiamare sindacati e committenti perché sul territorio che essi rappresentano non avvengano violenze ignobili in nome della crisi e della fame della gente. Ai lavoratori vogliano ribadire che la logica del “meglio quello che niente” porta con sé risultati dannosi e che solo la lotta e la rivendicazione di diritti consentirà di ottenere risultati duraturi. Noi continuiamo a lavorare per far applicare la legge sul caporalato contro quei padroni e quei committenti solidalmente responsabili, ma intanto non smettiamo di chiedere reale solidarietà alle “donne coraggio” di Taranto. Tim faccia altrettanto: dimostri di essere una impresa corretta e non la complice di questi sfruttatori».

—-

 

Precedente Accordo ex Ilva. Quale impatto su ambiente e lavoro?