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Taranto, che non ha imparato ancora a farsi corpo unico

Che sia dovuto intervenire il Procuratore della Repubblica su una vicenda così terribile e delicata assieme, riferita alla puntualità e al rigore delle comunicazioni sulle emissioni inquinanti e sul rispetto delle prescrizioni ambientali, e che dopo ciò si siano registrate variegate prese di posizioni, la dice lunga sul grado di lacerazione della nostra comunità, che invece, di chiarezza, rigore e conforto scientifico, e persino di parole certe, controlli e occhi severi e intransigenti, nonché oggettività avrebbe bisogno. Perché non esiste un verbo unico e solo in una vicenda che intreccia tante, troppe, questioni e che per questo avrebbe bisogno del contributo di tutti.

Così mentre il Procuratore Capristo prova a fare chiarezza e a chiedere a chi fa i controlli di farli bene, e a chi dovrebbe procedere alle azioni previste dall’addendum ambientale di agire con speditezza, noi ancora una volta ci dividiamo tra guelfi e ghibellini, facendo le pulci a questa e a quella presenza o colorando ogni iniziativa di un “benaltrismo” pericoloso proprio perché indebolisce e sfalda il fronte di una comunità che non è più disposta a morire per lavorare, o a lavorare seduta su una polveriera di emergenze ambientali e epidemiologiche.

Chi pensa che qualcuno possa augurarsi tanto male per se stesso o i propri figli sa di agire sui demoni di una strumentalizzazione che sinora ha prodotto poco o nulla. Esattamente come l’ennesimo servizio stampa nazionale, ben fatto per carità, ma che oltre a raccogliere le urla della comunità scolastica dei Tamburi o lo strazio dei genitori dei nostri bimbi che non ce l’hanno fatta, ha “solo” il merito di tenere desta l’attenzione e raccontare una parte, una parte del tutto, appunto!

Quel tutto che negli anni ci ha appassionato, trascinato in piazza, portato al massimo dello scontro con tutti i livelli istituzionali e che ha persino generato un importante processo nelle aule giudiziarie tarantine, ma che poco ci ha insegnato rispetto ai nostri errori. Divisi su tutto. Escludenti. Incapaci di aprire dialoghi utili a conquistare un po’ alla volta soluzioni possibili, realistiche senza dover inventare l’irrealizzabile condotto alle estreme conseguenze come ad esempio durante le cicliche campagne elettorali.

Taranto, richiamo di pregio per politica e mass media, ma che non ha imparato ancora a farsi corpo unico, preferendo la strada dell’individualità, della disgregazione sociale, di una protesta che seppur sacrosanta ci lascia con gli occhi lucidi di fronte alle parole del papà di Giorgio, ma ci lascia nell’ansia di poter essere concordi con qualcuno per paura di sembrare meno duri o puri di altri.

Ma non è questa la nostra battaglia. Non è questo quello che ci hanno chiesto i giovani emuli di Greta che sfilavano per le strade di Taranto lo scorso venerdì. Ci hanno chiesto di essere gocce di una tempesta cominciando con l’essere cittadini consapevoli ogni giorno, sia quando saremo costretti a dialogare con una grande industria impattante, sia quando dovremo chiedere di cambiare il paradigma dello sviluppo parlando di ciclo di rifiuti, di contaminazione di acqua o cibo.

Non esiste ambientalista più feroce di un uomo informato, perché usando le parole di Giorgio Di Ponzio e Carla Lucarelli (genitori di Giorgio), sappiamo che “per difendere il diritto alla vita, alla salute, al lavoro, all’istruzione e alla cultura c’è solo bisogno di essere cittadini che esercitano i loro diritti civili con dignità”, e aggiungo io, liberi da ogni muro di separazione pregiudiziale.

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