Protesta questa mattina dei lavoratori Acciaieri d’Italia.
Sotto al portone di Palazzo di Città a Taranto, dove la protesta dei lavoratori, dopo le portinerie e la direzione ex ILVA, si è spostata parla Francesco Brigati della Fiom CGIL di Taranto.
“Quello che sta avvenendo è un ricatto. E noi ai ricatti non ci stiamo. Il Governo mandi via dai confini italiani Arcelor Mittal”.
“Lo sciopero di oggi in tutti gli stabilimento del gruppo Acciaierie D’Italia, ex Ilva, e la massiccia adesione dei metalmeccanici allo stesso e alle manifestazioni di Taranto e Genova segnano l’avvio di una fase di mobilitazione che dovrà conseguire concreti e significativi risultati”.
Lo dichiara Gianni Venturi, segretario nazionale Fiom Cgil Nazionale.
“Lo Stato acquisisca il controllo e la gestione degli impianti, nazionalizzando o comunque diventando maggioranza da subito nel consiglio di amministrazione”.
“Non si può assistere a una lenta e inesorabile agonia degli impianti, al deterioramento delle condizioni di sicurezza, al permanere di un utilizzo così ampio e unilaterale degli ammortizzatori sociali, al taglieggiamento delle imprese e delle condizioni dei lavoratori nell’indotto” dice Venturi, che chiede “una svolta in tempi rapidissimi”.
“Non è pensabile arrivare al 2024 in queste condizioni”, ribadisce il segretario nazionale Fiom Cgil ad AGI. “Si deve sciogliere adesso il nodo dei rapporti con Arcerlor Mittal”.
Lo sciopero è cominciato questa mattina alle 7 e durerà fino alla stessa ora di domani (22 novembre). Il presidio delle portinerie è invece è cominciato alle 4.00 di questa mattina consentendo l’ingresso nel siderurgico solo dei lavoratori messi in “comandata”, ovvero il turno di lavoro che consente la sicurezza degli impianti.
La protesta, scaturita dopo la sospensione da parte di Acciaierie d’Italia di 145 imprese dell’indotto (2mila lavoratori in cassa integrazione), riaccende i riflettori su una vertenza mai sopita, caratterizzata negli ultimi mesi anche da stretta nella produzione, impianti fermi, cassa integrazione e mancanza di liquità per pagare fornitori e creditori.