Sviluppo sostenibile: Disuguaglianze, Inclusione, Contrattazione territoriale. La relazione di Peluso

Il 13 luglio 2018 si è svolto il primo seminario della Cgil di Taranto sul tema dello Sviluppo Sostenibile, dell’Economia Circolare e degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu. Questa di seguito è la relazione.

Oggi svolgiamo una prima riflessione e un primo approfondimento sul tema dello sviluppo sostenibile e sulla piattaforma integrata della Cgil.  L’iniziativa che avremmo dovuto svolgere il 17 maggio scorso, sospesa come ricorderete a causa dell’incidente mortale del lavoratore in appalto Ilva, era di natura politica. Ma oggi, sentiamo più forte il bisogno di inquadrare questa nostra riflessione in un contesto più generale, considerata la risposta politica che anche in Italia si tenta di dare alla crisi prodotta dalla globalizzazione.

Di fatto, i temi che affrontiamo oggi non sono affatto nuovi (peraltro sono all’interno dei documenti congressuali e caratterizzeranno la discussione nelle assemblee di base e nei congressi)  e già da diversi anni in campo economico e sociale se ne discute a livello internazionale, da parte di economisti, attori sociali, politici e governi.

Economia, Sviluppo, Benessere, così come, diritti, Welfare, lotta alla povertà e alla diseguaglianza, alla fame nel mondo, sono termini che fanno parte del nostro abituale vocabolario.

Gli aggettivi circolare accanto ad economia, sostenibile accanto a sviluppo, equo e sostenibile accanto a benessere ci indicano una strategia che non è soltanto un un tentativo di rispondere ai grandi problemi ambientali, come spesso e normalmente si intende.  In realtà, si tratta di tentare una strada alternativa che, accanto ad un diverso modo di intendere la gestione delle risorse naturali, si pone il problema di una produzione e di uno sviluppo sulla base di criteri economici che diano una risposta ai guasti prodotti dalla globalizzazione così come è stata gestita dal capitalismo finanziario negli scorsi anni, che ha accomunato lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali allo sfruttamento del lavoro creando profonde disuguaglianze, nuove schiavitù, compressione dei diritti, insicurezza sociale oltre che economica per la classe media in particolare, aumentando sacche di povertà.

La crisi della globalizzazione, esplosa nel 2008 negli Stati Uniti e che ha investito l’intero pianeta, che pur tuttavia non ha impedito che da parte di pochissimi si continuasse ad accumulare ingenti ricchezze, ha dimostrato che un sistema basato sull’idea che la crescita illimitata basata sullo sfruttamento di risorse naturali ed umane non era più e non è più in grado di generare quello sviluppo e quel benessere diffuso che ci si sarebbe attesi.

La crisi di tale sistema, o meglio la crisi del modo (liberalismo) di gestire tale sistema, oggi richiede risposte decisamente alternative, ma c’è da intendersi sul significato che dobbiamo assegnare al termine alternative E questo vale livello globale, nazionale, locale.

Già nel 2005, la psicologa Kenner aveva previsto gli effetti che la globalizzazione e la sua crisi avrebbero prodotto e in effetti e ciò che stiamo osservando nella reazione della politica americana come italiana e non solo  attraverso l’applicazione del principio del sovranismo.

Per la cui affermazione ci si avvale delle strategie di chiusura dei confini e dei porti, dell’inserimento dei dazi, in nome della sicurezza e della apparente difesa degli interessi nazionali, di cui l’espressione ‘prima gli italiani’, come nel caso appunto dell’Italia, e solo lo slogan per conquistare il consenso più generale.

È una risposta del tutto simile a quella data dopo la crisi del 1929 come è stato ampiamente analizzato.

Oltre a chiedersi se i devastanti effetti del sovranismo e del populismo, così come li ha conosciuti l’Europa nel secolo scorso possano ripetersi, c’è anche da chiedersi se questa risposta (il sovranismo) non sia il tentativo della politica di affermare un proprio potere nei confronti del sistema economico e finanziario che ha gestito la globalizzazione, producendone la grave crisi che abbiamo attraversato ovvero se non sia invece funzionale, nella sua apparente contrapposizione a quel modello di sviluppo, ad un mutamento di forma del modello di potere economico finanziario ma che rimane immutato nella sostanza dei suoi interessi e dei suoi obiettivi.

Alla impossibilità di affermare una crescita illimitata insostenibile cui doveva corrispondere un analogo e altrettanto insostenibile aumento dei consumi si potrebbe immaginare una risposta come quella paventata dai sostenitori della decrescita felice.  Produrre meno, crescere meno, consumare meno se non quello che le risorse naturali possono consentire.

Ovvero la risposta può essere nello sviluppo sostenibile, nell’economia circolare, di cui la strategia 2030 approvata dalla comunità europea e condivisa dai capi di governo a livello mondiale

Ma attenzione, prima di addentrarmi nella illustrazione sia pure sommaria della strategia 2030 e delle sue implicazioni a livello globale e locale, mi preme svolgere alcune riflessioni

Cosa consumiamo oggi?  Cosa e chi produce oggi?

Accanto ai consumi e alla produzione tradizionale che come abbiamo visto non possono basarsi, peraltro, sull’idea di uno sviluppo illimitato, senza causare ingenti danni all’ambiente con gravi ripercussioni sulla vita di milioni di persone, grazie allo sviluppo delle tecnologie si sta generando un aumento di consumi di servizi digitali e persino il singolo individuo diventa produttore di informazioni, attraverso l’utilizzo di Internet, informazioni che vengono raccolte, gestite, vendute anche a nostra insaputa, consentendo l’accumulo di ingenti ricchezze nelle mani di coloro che sono in grado di gestire questa enorme mole di dati, per conseguire interessi economici, finanziari, commerciali.

C’è però chi pensa di pagare il cittadino produttore di informazioni. È il caso, ad esempio, di un’industria automobilistica che in cambio delle informazioni che l’automobilista fornisce attraverso l’utilizzo dei servizi digitali in auto promette il pieno di benzina.

Sono solo degli esempi, ma che dicono quanto il valore del prodotto materiale si sposti in realtà sempre più verso i servizi tecnologici e digitali che è in grado di offrire.

Ma può tutto questo, con le implicazioni che ne deriveranno, essere regolamentato a tutela dei diritti soggettivi oltreché collettivi da uno Stato sovrano, atteso che l’innovazione tecnologica e i servizi digitali non hanno confini per antonomasia?

Non vanno cercate invece strategie diverse di governo dell’economia e del mercato globale che pongano alla base l’equilibrio tra la tutela ambientale, quella del lavoro, quella della persona?  È il messaggio lanciato appunto da Kate Raworth ne l’Economia della ciambella, definendo lo spazio equo e sicuro per l’umanità nell’equilibrio tra risorse disponibili e loro utilizzo attraverso un’economia rigenerativa e distributiva.

L’agenda 2030 ha definito gli obiettivi di benessere equo e sostenibile, i cosiddetti 17 goals, articolati in 139 target, con 240 indicatori.  Tra gli obiettivi la lotta alle disuguaglianze, la lotta alle povertà e alla fame, la ridistribuzione delle ricchezze, l’aumento in termini quantitativi e qualitativi del lavoro.  Quindi tra gli obiettivi che gli Stati a livello mondiale dovrebbero raggiungere nel 2030 non vi sono solo la tutela ambientale, ma anche quelli della tutela della persona e dei lavoratori in un’ottica di equilibrio, di solidarietà, di affermazione del diritto alla vita, alla salute, al lavoro, al welfare.

Ma se azioni vanno intraprese in tale direzione dai Governi, è altrettanto necessario comprendere come tali azioni vadano assunte anche al livello locale. Cogliere la dimensione locale è assolutamente indispensabile per conseguire gli obiettivi posti in termini qualitativi per la vita dei singoli e delle comunità cui appartengono.

Per questo la piattaforma integrata della Cgil parla non solo al Governo ma soprattutto alle nostre strutture provinciali e regionali, chiamandoci a sviluppare piattaforme coerenti con gli obiettivi posti! cambiando anche il nostro modo di lavorare e richiedendo una consapevolezza ed una conoscenza delle questioni che la nostra attività più tradizionale non sempre richiedono e che pertanto non vanno date per scontato.

Qui a Taranto e ne siamo i testimoni più evidenti, con l’eterna contraddizione tra la salute e lavoro che genera la presenza della grande industria. Ma non è soltanto questo, se pensiamo alle altre altrettanto grandi contraddizioni dovute alla presenza di numerose discariche, alle condizioni delle nostre città,

Eppure, ogni ipotesi di trasformazione nel senso dell’economia circolare, correttamente applicata, con riferimento al ciclo dei rifiuti, alla rigenerazione urbana, all’industria sostenibile eccetera, deve fare i conti con il rischio che ciò generi lavoro sottopagato, se non addirittura la perdita di posti di lavoro.  Mi riferisco, ad esempio, alla raccolta differenziata affidata in appalto ad imprese che non sempre garantiscono i diritti dei lavoratori.  Oppure mi riferisco ai piani della mobilità sostenibile che, se da un lato possono migliorare la qualità della vita dei cittadini, la connessione tra i quartieri, la facilità di accesso ad alcuni servizi, dall’altro non tengono in alcun conto di come tutto ciò debba comportare analogamente l’aumento della qualità dei lavoratori dei trasporti pubblici e privati, ad esempio  Mi riferisco anche alla prospettiva di aumento dell’occupazione nell’attuazione dei piani di rigenerazione urbana, ma che ancora devono essere attenti alla qualità del lavoro e non soltanto alla qualità dei servizi e della vivibilità.  Senza dimenticare gli enormi problemi legati alla corruzione e alla illegalità negli appalti.

Insomma, per noi un duplice compito, non sempre facile: condividere le azioni e gli obiettivi dello sviluppo sostenibile ma al contempo tutelare i diritti, migliorare l’occupazione, garantire più welfare.  Dovremmo farlo costruendo una piattaforma territoriale chiara e condivisa, dovremo aprire nuovi spazi di contrattazione soprattutto con gli enti locali, dovremmo avere un diverso rapporto con i lavoratori per chiamarli a condividere gli obiettivi della piattaforma, a contribuire al raggiungimento di tali obiettivi, a garantirgli percorsi formativi adeguati nonché la tutela dei diritti, per accettando di mettersi in gioco quali co-protagonisti dei processi di innovazione e trasformazione.    Così come dovremo essere in grado di mantenere un rapporto forte con i cittadini in generale, ai quali pure sono rivolti i benefici che potranno derivare non solo dalla realizzazione della pianificazione di interventi coerenti con lo sviluppo sostenibile, ma di quali dovremo continuare a tutelare i diritti alla salute, al soddisfacimento di bisogni primari, ad una vita dignitosa.

Dai lavori di questa giornata ci proponiamo di cominciare a approcciare collegialmente queste questioni, senza la pretesa di essere esaustivi. È un primo momento anche di esercizio non solo riflessivo ma anche operativo, sia pure in termini esemplificativi.

L’importante contributo che offrirà la compagna Gianna Fracassi della segreteria nazionale, che ringrazio soprattutto per la disponibilità a tornare qui a Taranto per partecipare a questi lavori, ci permetterà di individuare nuovi e successivi momenti per consentirci di costruire il nostro percorso, la nostra piattaforma, di dare un chiaro indirizzo e una maggiore qualità al nostro lavoro.

Precedente ILVA e Bonifiche. Peluso: “Ci attardiamo nelle questioni di principio ma ci allontaniamo dalla soluzione dei problemi”