Il buon cappotto è anche giusto. Dalla Filctem Cgil un appello per salvare il sistema moda

Negli ultimi quattro anni venti aziende del settore delle confezioni di Martina Franca hanno chiuso i battenti, lasciando per strada oltre quattrocento persone, prevalentemente donne. Queste chiusure, di cui spesso abbiamo dato notizia sia alla stampa che agli altri attori impegnati ognuno per il suo lato nello sviluppo del territorio, non hanno sortito nessun tipo di effetto. E siamo certi che non lo sortiranno anche oggi, perché già ci immaginiamo coloro che potrebbero fare qualcosa leggere queste parole e fare spallucce, come se il lento stillicidio dei lavoratori e delle imprese del settore moda fosse qualcosa di naturale, qualcosa di ovvio, scontato, che non fa più notizia. Contemporaneamente registriamo, però, una rinnovata attenzione sulla moda, sul Made in Italy, sull’artigianato di alto livello. Come possono coesistere questi due dinamiche che sembrano, a primo avviso, in aperto contrasto? Se si punta sull’eccellenza, si pensa, il lavoro tornerà. Eppure, ci chiediamo, quale eccellenza è possibile se negli ultimi dieci anni insieme ai livelli occupazionali abbiamo perso anche le competenze, le esperienze, il saper fare, vera ricchezza del settore? Dovremmo fare riferimento al greco antico, al concetto di “kalokagathia”,  ovvero a quel tipo di eccellenza fisica e morale a cui dovrebbe tendere l’uomo. Per i greci i due concetti non possono essere divisi, la bellezza fisica e morale, sono indissolubili. Il concetto stesso di eccellenza, quindi, non può prescindere dalla valorizzazione interiore. Dentro la bellezza di un cappotto fatto a mano, di un pantalone di marca, c’è il lavoro degli operai, delle maestranze, quel lavoro che non può essere sostituito facilmente dalle macchine. Se dovessimo indicare la kalokagathia dei cappotti fatti a Martina Franca, nel territorio di Taranto, in Valle d’Itria non potremmo prescindere dalla tutela e dalla valorizzazione dei lavoratori. Altrimenti è solo finzione, è eccellenza a metà. E il nostro territorio non se lo può permettere perché, volendo o meno, ci stiamo avviando a gran passi verso un cambio di paradigma e non potremo lasciare nessuno per strada.

Come Filctem Cgil abbiamo la fortuna di far parte di un grande sindacato che fa tesoro delle esperienze dei territori per riproporli dove serve. A Prato, in Toscano, ad esempio, sono già attive esperienze di filiere etiche che tengono legati insieme committenti e terzisti grazie alla responsabilità solidale, tra l’altro previsto dal d.lgs 276/2003, poi convertito con legge 296/2006. Un modo per incentivare la scelta di terzisti che rispettano le norme e i contratti, che rispettano e valorizzano i lavoratori. Un po’ come i biscotti “senza olio di palma”, sarebbe finalmente bello poter indossare un capo che non ha visto lo sfruttamento di nessuno lungo il corso della catena. L’anello debole di questa catena sono i lavoratori, ma anche i terzisti, i quali spesso si rivolgono allo stesso sindacato per cercare quelle tutele che altrove non trovano. I terzisti strozzati, i terzisti costretti a chiudere. E con loro decine di lavoratori per strada. Quale eccellenza, ci chiediamo, può esserci se alla base, alla radice, c’è una storia di sfruttamento?

Lanciamo, da queste pagine, due appelli. Il primo è che si intensifichino i controlli nei confronti delle aziende non in regola, perché spesso si configurano situazioni ai limiti della truffa allo Stato, come abbiamo segnalato dopo l’introduzione degli incentivi del Jobs Act. Perché i controlli siano efficaci, devono essere comminate sanzioni adeguate e soprattutto dare pubblicità al lavoro di inchiesta. Il secondo appello, altrettanto importante, lo rivolgiamo alle parti datoriali, alle autorità: la battaglia che conduciamo giorno per giorno, fabbrica per fabbrica, macchina per macchina, è fatta per tutelare la ricchezza reale del territorio, che non può essere misurata solo dal profitto, ma dalla capacità di resilienza, dalla esperienza e dalla bravura dei lavoratori. In nome di questi lavoratori, di coloro che di fatto hanno prodotto la ricchezza delle aziende e dei brand locali, chiediamo la condivisione di un percorso etico, di un accordo di responsabilità, ma innanzitutto di un confronto. Se ci si incontra solo per condividere le belle storie e non si affrontano i problemi, si rischia di rimanere sorpresi quando Costantinopoli cadrà. Noi, i cittadini della provincia di Taranto, di Martina Franca e della Valle d’Itria, le future generazioni, non possiamo permettercelo. La posta in gioco è alta, è vitale. Abbiamo negli occhi ancora l’esperienza dei dieci anni di battaglia dei lavoratori ex Miroglio di Ginosa, una vertenza di settore che ha fatto scuola in tutto il Paese, i lavoratori che sono rimasti uniti, tra loro, con il territorio e con il sindacato, e che alla fine hanno avuto ragione. Da questa esperienza partirà la riflessione congressuale che ci vedrà impegnati il prossimo 8 ottobre a Martina Franca, alla quale noi non chiuderemo le porte a nessuno di coloro che vorranno dire la propria, perché di questi tempi viene molto più facile dividere, ma invece è tempo di unire, di camminare insieme.

Questo intervento è stato pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 04 ottobre 2018

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